Crosby, Stills & Nash – 19 Luglio 2010, Roma, Cavea dell’Auditorium Parco della Musica

A cinque anni di distanza dall’ultimo tour, Crosby, Stills & Nash sono tornati in Italia per una serie di quattro concerti durante i quali, oltre a riproporre diversi classici del loro repertorio, hanno presentato in anteprima alcuni dei brani, che entreranno a far parte del loro prossimo disco, una raccolta di classici del rock rivisti attraverso la lente della loro inconfondibile cifra stilistica. La penultima tappa del tour nella nostra penisola si è tenuta nella bella cornice della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma e ha offerto al pubblico un concentrato di emozioni e momenti di grande musica. E’ innegabile però che anche per Crosby, Stills & Nash il tempo stia inesorabilmente scorrendo. Dei tre chi è invecchiato meglio è certamente Nash, che orami rappresenta un punto di riferimento importante per il trio non solo dal punto di vista musicale. Se David Crosby sembra aver resistito a tutti i problemi di salute, Stills è quello che durante questo tour italiano ha mostrato in modo più evidente i suoi limiti non solo fisici ma anche prettamente vocali, e questo lo si è notato sin dal brano di apertura, Woodstock di Joni Mitchell, cantato con non poche difficoltà dall’ex Buffalo Spri
ngfield. Il concerto, comunque, ha vissuto momenti di grande intensità anche grazie a Stephen Stills, il quale alla chitarra non ha fatto mai mancare il suo apporto regalando ottimi assoli come nel caso di Long Time Gone magistralmente cantata da Crosby e nella ripresa di Bluebird dei Buffalo Springfield. Un Graham Nash in gran spolvero ha incantato la platea dando il meglio di se nei brani da lui composti ovvero Marrakesh Express, Military Madness, Chicago e la struggente In Your Name, brano inedito proveniente dal cofanetto Reflection pubblicato lo scorso anno. Fondamentale a livello sonoro è senza dubbio l’apporto della band che vede nella sezione ritmica, composta dallo storico collaboratore di CSN Joe Vitale alla batteria e Robert Glaub, il suo perno fondamentale mentre James Raymond (piano e tastiere) e l’ottimo Todd Caldwell (organo) arricchiscono i tessuti melodici con grande eleganza. Uno degli highlight della serata è stata certamente Dèjà Vu, con mattatore David Crosby alla voce e un ottimo Stills alla chitarra, che ha diretto una lunga suite strumentale nella quale ogni componente della band ha avuto il suo spazio per mettersi in evidenza. Non meno bella è stata anche la resa di Wooden Ships, che ha chiuso la prima parte del concerto. Dopo un break di quindici minuti, il trio torna sul palco per il set acustico durante il quale si torna indietro nel tempo, tanto con alcuni classici come Helplessy Hoping di Stills quanto anche con la serie di cover che spaziano da una intensa
Norvegian Wood dei Beatles a Midnight Raider degli Allman Brothers band passando per il Bob
Dylan di Girl From North Country e Ruby Tuesday dei Rolling Stones fino a toccare una splendida versione full band di Behind Blue Eyes dei Who. Questo spaccato acustico è stato certamente il più coinvolgente per il pubblico che ha spesso accompagnato ai cori il trio in diversi brani, mentre ha assistito in religioso silenzio alle splendide Delta di David Crosby e Cathedral di Graham Nash. La sempre bella e romantica, Our House, dedicata da Nash a Stefano Frollano e Francesco Lucarelli, da tempo fan del trio nonché loro biografi, ha aperto la parte conclusiva del concerto durante la quale è arrivato l’altro grande highlight della serata, ovvero Almost Cut My Hair. I bis finali, Love the One You’re With di Stills e Teach Your Children di Nash hanno chiuso una serata densa di poesia e grande musica. Sul palco Crosby, Stills & Nash hanno dato tutto e forse molto di più di quanto è nelle loro attuali possibilità e questo non può che lasciarci commossi, nel vederli affrontare con passione e trasporto i loro brani, con la stessa partecipazione di quando avevano vent’anni. E’ questo il miracolo di Crosby, Stills & Nash, è questo che li ha portati a resistere al tempo e forse anche a cambiare un po’ il mondo.


Salvatore Esposito

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